Due righe su Ferlinghetti, accidentalmente morto

Se n’è andato Ferlinghetti. Aveva 101 anni e ha vissuto una di quelle vite piene che segnano un secolo quindi non c’è da avere tristezza ma semplicemente ammirazione. Ferlinghetti era famoso soprattutto come editore e sono sicuro che i coccodrilli che stanno uscendo in queste ore si concentreranno su questo, sul coraggioso editore della beat generation che negli anni ’50 pubblicò le prime opere di Ginsberg, Kerouac, Corso, e il suo essere condannato e arrestato per oscenità per aver dato alle stampe Urlo di Ginsberg. 

Ma per me è stato soprattutto un poeta straordinario. Il mio poeta straordinario preferito. Il poeta che ha trasformato la percezione che avevo della poesia quando a 17 anni comprai in edicola a 5900 lire un libro economico della Newton intitolato “Questi sono i miei fiumi”. Per la prima volta, leggendo quei versi, ho sentito le parole come carne viva, ho sentito le parole che toccavano corde per me sconosciute. È stata una specie di rivelazione. Sono entrato quindi nel mondo della beat generation leggendo molti libri di molti autori. Alcuni li ho trovati meravigliosi, altri meno. Ma sono stati i suoi, e soltanto i suoi, a coinvolgermi in maniera totale. Come se fosse riuscito a trovare le parole per esprimere esattamente quello che provavo. Con la stessa ironia, la stessa irriverenza e la stessa dolce malinconia che sentivo dentro. L’apice della connessione l’ho avuto leggendo il suo capolavoro che poi è diventato il mio libro di poesia preferito. Anzi uno dei mie libri preferiti in assoluto. “A Coney Island of the mind”. Ogni poesia un brivido dietro la schiena, come quando qualcuno di soppiatto ti coglie di sorpresa, come quando scoprono i tuoi sentimenti più profondi. Una specie di alchimia e lui era l’alchimista. A volte ci riusciva anche con poche, pochissime parole. Viene da se che Ferlinghetti abbia segnato la mia adolescenza e gli anni a seguire. È anche colpa sua se mi sono messo a scrivere. È anche merito suo se ho deciso che scrivere non sarebbe diventato un mestiere. Nel corso degli anni l’ho abbandonato e poi ritrovato e abbandonato e ritrovato. L’ultimo ritrovo è stato l’autunno scorso, quando vidi sullo scaffale di una libreria A Coney Island. La mia vecchia copia era andata smarrita tra i tanti traslochi e quindi l’ho ricomprata e riletta. Ed è stato come leggerlo per la prima volta. Stesse emozioni e stessa meraviglia. Poi sono andato a cercare nella mia vecchia camera in casa di mia mamma il suo primo libro che ho comprato. Quell’edizione economica a 5900 lire del 1997. Quella l’ho ritrovata. Mi ero promesso di rileggerla quanto prima. Poi ieri Lawrence Ferlinghetti è morto. Ora, queste righe che sto scrivendo potrebbero finire in modo retorico. Ma anche no. Andiamo, dai, andiamo, svuotiamoci le tasche e scompariamo dando buca a tutti i nostri appuntamenti.

(24.02.2021)

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